Laboratorio di scrittura classe 3B : La diga del Vajont

Qui di seguito i testi scritti da alcuni ragazzi della terza B della SSPG di Dro che nascono dal laboratorio di scrittura sulle diverse tipologie della lettera, del diario e della cronaca in seguito alla loro visita alla diga del  Vajont.

“La nostra visita alla diga del Vajont”

La prima volta che abbiamo visto la diga eravamo sul nostro autobus, il 24 novembre, appena giunti in prossimità di Longarone. In quel momento esatto ha avuto inizio la nostra esperienza, per la quale tanto avevamo studiato a scuola.  Vedere dal vivo, però, il luogo dove tutto accadde realmente è stata tutta un’occasione di ben altro peso.

La prima tappa della nostra visita ci ha portati in prossimità della diga, proprio sulla frana: qui, i nostri sentimenti oscillavano tra la paura e lo stupore per la sua altezza. La diga! Sembrava una vela di cemento spiegata al vento della Storia. Poi abbiamo attraversato, nel gelo, il Bosco Vecchio, dove gli alberi sono cresciuti sulla frana, contorti in modo sovrannaturale.

Infine ci siamo diretti a Erto, paese situato su un versante della valle, per visitare il museo in cui sono esposti foto, schemi e modellini per capire con esattezza cosa accadde quella notte del 9 Ottobre 1963, ma soprattutto per non dimenticare.

I testi che seguono sono stati scritti, col cuore e con la ragione, a seguito della visita. Speriamo che riescano ad emozionare chi leggerà. 

I giornalisti della 3^B – Eccher I. e Chiarani A.

 

“Vajont ‘63” – Laboratorio di scrittura: il diario

Caro diario,

ti scrivo oggi per la prima volta perché ho bisogno di rivelare a qualcuno la mia angoscia, i miei timori e le mie paure.

Ora la mia curiosità verso tutto quello che riguarda la diga del Vajont si è tramutata in orrore.

Iniziò tutto nel gennaio 1957 quando gli operai della SADE arrivarono qui e cominciarono a costruire la diga. All’inizio la faccenda mi suscitò curiosità, tanto che volevo offrirmi come operaio, ma quando ci furono i primi morti sul lavoro preferii solamente stare a guardare a distanza di sicurezza. Quando la diga fu completata, nel 1959, c’erano tantissime persone che erano già andate via perché le loro case e i loro campi venivano allagati dal riempimento dell’invaso.

Ora, la mia famiglia è venuta da me perché anche la loro casa è stata allagata e vogliamo andare tutti in città, a Belluno, da mia zia perché questo posto non è più sicuro: le frane fino ad ora non hanno ucciso ancora nessuno, però, mi continuo a fare la stessa domanda da giorni. Se lì in quel momento ci fosse stato qualcuno, quel qualcuno ora sarebbe con noi? Sarebbe stato diverso, avrebbero rinunciato al progetto, giusto? Non possono mettere a repentaglio la nostra sicurezza, no! O forse sì? Sai, forse sto impazzendo, è per questo che vogliamo andarcene, nessuno di noi è lucido come prima della costruzione della diga.

Una delle cose che mi fa più paura è la “M” sulla montagna, penso di averla individuata per primo. Stavo passeggiando, non molto tempo fa, sul monte Toc, erano le tre del mattino e non riuscivo a dormire, quando, ad un certo punto, vedo un gattino, mi avvicino per accarezzarlo, quando cado in un buco di una trentina di centimetri e il gatto, spaventato, scappa.

Allora mi guardo intorno per capire dove diavolo ero finito e scopro una cosa terrificante. Non ero in un buco, bensì in una fessura che tagliava a metà il rilievo. Non stava per venire giù una frana, ma tutto il monte Toc e, spaventato, sono scappato e rientrato a casa filando in camera senza dire niente. Ora, di notte, tutta la “M” è “contornata” da luci e tutti conoscono quella fessura che continua ad allargarsi. 

Le scosse sono quelle che mi fanno più paura e mi vengono i brividi lungo la schiena perché ho sempre più fifa che mi crolli in testa la casa in una volta. In soggiorno si sta aprendo uno squarcio che arriva fino in soffitta. A volte dormiamo fuori casa perché lo riteniamo più sicuro oppure non dormiamo proprio perché non ci riusciamo e restiamo vigili, per quanto si può a quell’ora.

Ora ho davvero paura di quello che sta per accadere e non riesco a pensare ad altro. Spero che non succeda niente, lo sto sperando con tutto me stesso, con tutto il cuore, ma penso che se non chiudono tutto, se non abbandonano il progetto, qui verrà fuori un disastro, interi paesini verranno spazzati via, un disastro che si poteva evitare.

Sarebbe davvero orribile!

p.s. a domani (se sarò ancora vivo).

Il tuo caro Samuele

Il giornalista della 3B Cummaro S.

 

“Vajont ‘63” – Laboratorio di scrittura: la lettera

Cara Angela,

come stai? Spero bene, come va là in Trentino?

Non so se hai letto le notizie sul giornale, ma qua è come se fosse sparita la vita, improvvisamente.

Il 21 Febbraio del 1961 la mia giornalista preferita, Tina Merlin, aveva pubblicato un articolo che mi fece venire la pelle d’oca, era titolato “Un enorme frana di 50 milioni di metri cubi minaccia la vita e gli averi degli abitanti di Erto”. La gente cominciava ad avere paura, se non terrore, si vedevano, negli occhi delle madri, vortici neri che chiedevano aiuto; la paura non era generata solo dall’articolo, ma anche dai terremoti che si facevano sempre più forti e distruttivi.

Sempre più gente se ne andava via mentre i montanari di cuore puro restavano immobili dicendo che neanche la morte li avrebbe separati dal paese dove giacevano i loro cuori.

Intanto la M sulla montagna si faceva sempre più evidente, ma tutti questi uomini corrotti della S.A.D.E. non facevano ancora niente. Io anche mi sentivo un piccolo moscerino insignificante che non poteva fare altro che chiedersi come sarebbe finita.

Mentre tutto questo accadeva la S.A.D.E. continuava a riempire la diga davanti a quella M che conteneva il messaggio della morte.

L’otto ottobre del 1963 i paesani non facevano altro che parlare della partita del giorno dopo, la tensione per la diga si era alleggerita, finalmente c’era un’atmosfera più serena, ma si sa che la serenità non dura per sempre.

Il 9 Ottobre del 1963 eravamo tutti al bar a vedere Real Madrid contro Glasgow Rangers; erano tutti emozionati tranne me che, come sai non sono un amante del calcio, quindi presi la mia 500 bianca e andai su una collina da dove si vedeva benissimo la diga dall’alto. Erano le 22:30 quando iniziai a sentire la terra tremare sotto i miei piedi, ma non come uno dei soliti terremoti, era stavolta molto più forte. Poi sentii un colpo d’aria fortissimo che mi portò via. Per istinto mi misi le mani sulla bocca, poi ci fu un colpo gelido e da lì in poi non ricordo più niente, solo che mi svegliai sotto il fango. Non capivo dov’ero: era un vasto territorio tutto fangoso con altre persone che camminavano come se cercassero qualcosa, ma tornavano sempre nello stesso punto da dove erano partiti.

Mi sentivo come una mummia ricoperta di fango, anzi non riuscivo a sentire neanche un arto del mio corpo. Ad un certo punto arrivarono i soccorsi che ci portarono in ospedale.

Avevo un braccio, una gamba e qualche costola rotta; facevano un po’ male, ma le parole del dottore me ne fecero ancora di più: il Toc era franato e con lui il paese distrutto portandosi via tutto quello che avevo, con anche il mio cuore.

Ora l’unica persona che mi è rimasta sei tu, Angela, e ringrazio il cielo per avermi dato un’amica così importante che tiene vive le mie speranze. Spero di poterti vedere presto, con affetto.

La giornalista della 3^B – Toccoli. L.

 

Corriere delle Alpi

Un’enorme onda ha spazzato via il paese di Longarone (Laboratorio di scrittura: articolo di cronaca)

Durante la notte del 9 Novembre una gigantesca onda di acqua ha spazzato via l’intero paese di Longarone, alcuni affermano che ci sono state decine di morti, altre parlano di centinaia. Dove prima sorgeva il paese di Longarone ora ci sono solo macerie e fango. Scrivo da Ponte nelle Alpi, la strada è stata bloccata, sono presenti esercito, polizia e vigili del fuoco. Continuano ad arrivare mezzi di soccorso, non si passa, la nostra unica fonte di notizie sono i testimoni oculari. Uno di questi ci ha riferito che il paese è stato spazzato via per più di ¾, alcune persone dicono che la diga, costruita dall’azienda S.A.D.E., sia stata distrutta solo parzialmente, altri dicono che è rimasta tutta intera. Le informazioni giungono incerte, l’atmosfera è caotica.

Dove prima giocavano serenamente i bambini ora c’è solo fango e macerie. Non si conosce ancora la precisa misura del disastro. I paesi di Casso ed Erto sembrano essere stati parzialmente distrutti con altre piccole frazioni attorno a Longarone, come Villanova e Codissago. Nelle prossime ore gli elicotteri di soccorso ci daranno la stima della grandezza del disastro e anche il possibile numero di decessi.

La TV ieri sera trasmetteva una partita di calcio, la maggior parte delle persone sarà stata colpita durante il sonno, al buio, deve essere stato un inferno. Si ipotizza che un pezzo di monte sia franato nel bacino idrico formato dalla diga provocando un enorme onda e che questa,  distruggendo la diga, sia passata per il canyon e abbia portato morte e distruzione la notte del 9 Ottobre 1963. È intervenuto subito tutto l’esercito di stanza in Friuli e Veneto, inizialmente sono accorsi gli Alpini di Belluno.

 Probabilmente ora si farà un processo ai responsabili di questa diga, principalmente la S.A.D.E, perché magari questo disastro si sarebbe potuto prevenire. Una cosa è certa, il disastro del Vajont rimarrà nella segnato storia. 

Il corrispondente e giornalista della 3^b – Minghetti F.

 

“Vajont ‘63” – Laboratorio di scrittura: il diario.

 

Caro diario, 

oggi è il 12/5/1959 e sono le 5:46 del mattino. 

Questa è la prima volta che scrivo su carta quello che mi sta accadendo. Io mi chiamo Rosa, ho 14 anni e abito in un piccolo paesino chiamato Erto. Quasi tre anni fa, in questa valle, sono cominciati i lavori per la costruzione di una diga e ora che è completa; posso confessare che mi fa molto timore. Non riesco più a dormire beata e serena, non riesco più a fare dei sogni candidi, mi sento osservata, poi apro gli occhi e fuori dalla mia finestra c’è lei: grigia come la tristezza, alta abbastanza per sovrastare tutto, mi fa provare un senso di smarrimento. Per di più ora stanno cominciando a riempire il bacino con l’acqua. Non possiamo più stare qua, il Patoc non la reggerà per sempre. Adesso devo andare a prepararmi per la scuola. 

Ultima cosa, lo sai che ieri è stata una giornata orribile? Ci hanno espropriato dei campi e con loro anche la piccola casetta sull’albero, nella quale tenevo chiusi tutti i miei ricordi d’infanzia, tutti gli oggetti che, in qualche modo, mi riconducevano ai bei momenti passati con le persone a cui tengo di più. È come se mi avessero strappato un pezzo di cuore, un dolore lancinante mi ha perseguitato tutta la notte e probabilmente continuerà anche durante il giorno. Come hanno potuto fare questo agli abitanti? 

Sono tornata, dopo un lungo periodo durante il quale non ti ho scritto, ho deciso di informarti su quello che sta accadendo. Oggi è il 23/1/1960 e sono le 15:02 del pomeriggio. Il Patoc in questo ultimo periodo non è più lo stesso, manda dei segnali di cedimento, ma non possiamo fare tanto, quelli che invece possono intervenire, non fanno nulla per salvare il salvabile. La popolazione è spaventata, non sappiamo come agire. Adesso devo fare i compiti, quindi quando accadrà qualcosa ti informerò.

Eccomi diario, oggi è l’8/11/1960, sono le 8:39 della mattina e un pezzo di montagna è franato, siamo tutti annichiliti dalla paura. Questo, probabilmente, era un avvertimento, la prossima volta non so cosa succederà, ma io e la mia famiglia vorremmo trasferirci, il problema, però, sono i soldi, perché vendere questa casa, ora, con questa diga, è veramente difficile, quindi, intanto, dobbiamo stare qui. 

È da tanto tempo che non ti scrivo, ma è perché dall’ultima volta non è successo niente di particolare. Oggi è il 9/10/1963 e sono le 21:54, il Patoc trema sempre più frequentemente e ogni volta più violentemente. Siamo veramente impauriti, non sappiamo cosa aspettarci, prima o poi accadrà di sicuro qualcosa, questo è certo, ma nessuno sa quando, o almeno, è quello che dicono. Ho paura che la montagna frani definitivamente. Ho paura di addormentarmi nel mio letto e svegliarmi incatenata in un luogo a me sconosciuto, a causa dell’egoismo degli altri. Ora provo a dormire, anche se questa sera è diversa dalle altre, percepisco un’aria strana e non penso c’entri qualcosa con la partita di calcio. Sento che qualcosa segnerà la valle per sempre.

La giornalista della 3^B Zanetti A.